Homoweb - Comunità online e identità umana


Vai ai contenuti

Darfur - la risposta internazionale

Share |

Nel 2003, un’insurrezione in Darfur fu lanciata dai ribelli dell’Esercito per la Liberazione del Sudan (SLA) e il più piccolo Movimento Giustizia ed Eguaglianza. Il Governo del Sudan (GoS) rispose mobilitando l’Esercito, l’Aviazione e milizie reclutate tra alcune delle tribù arabe del Darfur, più tardi conosciute come i Janjawid.
Gli eventi in Darfur furono inizialmente oscurati da diversi conflitti armati in Sudan. Il più duraturo di questi fu la guerra fra il governo del Sudan e i ribelli meridionali dell’Esercito/Movimento per la Liberazione del Popolo del Sudan. (SPLM/A), che fu ufficialmente conclusa da un Accordo di pace globale (CPA) firmato nel Gennaio 2005 e lo spiegamento della Missione delle Nazioni Unite in Sudan (UNMIS).
Nella primavera del 2004, l’African Union (AU) assunse il ruolo guida negli sforzi internazionali come mediatore per una risoluzione del conflitto in Darfur. Poco dopo, il 25 Maggio 2004, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fece la sua prima dichiarazione sulla situazione in risposta a un rapporto dell’Alto Commissario dei diritti umani delle Nazioni Unite. Il Consiglio espresse la sua opinione sulla crisi umanitaria in Darfur e gli attacchi indiscriminati sui civili, ed espresse sostegno per i tentativi di mediazione dell’Unione Africana.
Gli sforzi dell’Unione Africana portarono alla firma dell’Accordo umanitario sul cessate il fuoco di N’djamena dell’8 Aprile 2004 tra il Governo del Sudan, l’Esercito per la Liberazione del Sudan (SLA) e il Movimento Giustizia ed Eguaglianza. Questo spianò la strada per un accordo firmato ad Addis Abeba il 28 Maggio 2004, sotto il quale vi furono 80 monitors dell’Unione Africana per osservare il cessate il fuoco, supportati da una forza di protezione di 300 soldati nigeriani e ruandesi. Tuttavia, il cessate il fuoco non fu osservato.
Fuori dal Darfur, un dibattito internazionale stava dando impulso al problema di come qualificare la violenza laggiù. Il 19 Marzo 2004, Mukesh Kapila, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per il Sudan, disse che gli attacchi contro i civili erano “prossimi alla pulizia etnica” e affermò che “la sola differenza tra Ruanda (1994) e Darfur è il numero di morti, torturati, stuprati in questione”. Meno di un mese dopo, nel decimo anniversario del genocidio del Ruanda, il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan formulò analoghi parallelismi dicendo: “…la comunità internazionale non può rimanere inattiva [ma] deve essere preparata ad avviare un’azione appropriata e rapida. Con “azione”… intendo una sequela di passi, che può includere un’azione militare”.
A Settembre 2004, dopo avere riesaminato le prove raccolte dal Dipartimento di Stato, l’allora Segretario di Stato degli Stati Uniti, Colin Powell, annunciò che l’amministrazione degli Stati Uniti credeva che “un genocidio è stato commesso in Darfur e che la responsabilità gravava sul Governo del Sudan e sui Janjawid – e che un genocidio può stare ancora succedendo”. A dispetto di questo, Powell disse, la politica degli Stati Uniti verso il Sudan sarebbe rimasta immutata. La maggior parte degli attori e delle organizzazioni internazionali, incluse l’Unione Africana e la Lega araba, rifiutarono di accettare la definizione del conflitto come genocidio. Il Parlamento europeo si avvicinò quando dichiarò che la situazione in Darfur era “equivalente a un genocidio”. Esso minacciò sanzioni se nessun “progresso tangibile” era fatto tra le Nazioni Unite e il Governo del Sudan.
Tra Giugno e Dicembre 2004, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite divenne più profondamente impegnato col Darfur e varò tre risoluzioni particolarmente importanti (numeri 1547, 1556 e 1564). Tra le altre cose, queste risoluzioni invocavano un accordo politico per mettere fine ai combattimenti, davano 30 giorni al governo del Sudan per disarmare i Janjawid e iniziare ad assicurare i suoi leaders alla giustizia, e stabilì una Commissione di inchiesta per determinare se fossero occorsi o meno atti di genocidio.
La pubblicazione del rapporto della Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite, il 25 Gennaio 2005, intensificò il dibattito sul modo più appropriato per rispondere alla violenza in Darfur. La Commissione concluse che mentre il Governo del Sudan “non ha perseguito una politica di genocidio”, esso era implicato in numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Esso asseriva, nondimeno, che in alcuni casi individuali, che includono pubblici ufficiali governativi, possono commettersi atti con intenti di genocidio”. Dopo un periodo di discussioni sui risultati della Commissione, il Consiglio di sicurezza varò altre tre risoluzioni sul Sudan (numeri 1590, 1591 e 1593) in una settimana di fanatica attività. Esso autorizzò un’operazione di mantenimento della pace (peacekeeping) per aiutare ad adempiere l’Accordo globale di pace nel Sudan meridionale, chiedeva al Governo del Sudan di fermare “l’offensiva aerea militare nella regione del Darfur e oltre”, e riferiva la situazione in Darfur, dal Luglio 2002 in avanti, alla Corte criminale internazionale.
Quando la guerra entrò nel suo quarto anno, gli sforzi della mediazione internazionale ruotarono attorno i colloqui di pace ad Abuja, in Nigeria, dove i gruppi di opposizione, il Governo del Sudan, gli Stati Uniti, l’Unione Africana, e altri Stati dovevano in fine presentare l’Accordo di pace per il Darfur (DPA). Avendo affrontato sforzi finanziari con la sua operazione di mantenimento della pace in Darfur, l’Unione Africana annunciò nel Gennaio 2006 che avrebbe accettato il passaggio ad un’operazione delle Nazioni Unite. Nella Risoluzione 1663 (4 Marzo 2006) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si diede il benvenuto alla decisione e si spinse la Missione delle Nazioni Unite in Sudan ad intensificare la sua cooperazione con la missione di peacekeeping dell’Unione Africana. I mesi seguenti, nella Risoluzione 1672, il Consiglio chiese a tutti gli Stati membri di attuare tutte le misure delineate nella Risoluzione 1951 contro i quattro individui ritenuti coinvolti in violazioni dei loro impegni – uno del Governo del Sudan, uno dei Janjawid e duo comandanti minori dei ribelli.
Dopo sei serie di colloqui, il sostituto Segretario di Stato degli Stati Uniti, Robert Zoellick e il Segretario allo Sviluppo internazionale britannico, Hillary Benn, decisero una scadenza per l’accordo e il Trattato di pace per il Darfur (DPA) fu firmato il 5 Maggio del 2006 dai Governi del Sudan e la fazione di Minni Arkoi Minawi dell’Esercito per la Liberazione del Sudan. L’accordo fu accolto in modo acritico dalla comunità internazionale. Il Consiglio di Sicurezza esortò le fazioni ribelli che non lo avevano sottoscritto a firmarlo senza ritardo e richiese passi concreti per trasformare la Missione di peacekeeping dell’Unione Africana (AMIS) in una forza di pace delle Nazioni Unite (Risoluzione 1679, 16 Maggio 2006).
Quando gli attori internazionali giunsero tardivamente a riconoscere che il Trattato di pace per il Darfur (DPA) non poteva essere attuato con un così limitato sostegno, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite varò la Risoluzione 1706, il 31 Agosto 2006. La risoluzione estendeva il mandato della Missione delle Nazioni Unite a spostarsi nel Darfur per “sostenere l’attuazione del Trattato di Pace per il Darfur e l’Accordo di N’djamena dell’Aprile 2004. Essa autorizzò altresì la Missione delle Nazioni Unite ad estendersi a 17.300 militari e 3.300 poliziotti civili e “sollecitò” il consenso del Governo di unità nazionale del Sudan.
In risposta all’aggravata situazione della sicurezza nel Ciad orientale, in parte a causa degli attacchi dal Darfur lungo i confini, la risoluzione 1706 richiese anche “la costituzione di una presenza multidimensionale composta da ufficiali di collegamento di polizia politica, umanitaria, militare e civile in posizione chiave in Ciad…e se necessario, nella Repubblica centro-africana”. Essa statuì che lo spiegamento della forza di peacekeeping doveva iniziare “non più tardi che l’1 Ottobre 2006”. La Missione delle Nazioni Unite fu autorizzata “a usare tutti i mezzi necessari” per proteggere il personale delle Nazioni Unite, attuare il Trattato di pace per il Darfur (DPA), proteggere i civili, e sequestrare o raccogliere le armi proibite in Darfur sotto il capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite.
Il Presidente Omar Bashir’s reiterò il rifiuto dei peacekeepers delle Nazioni Unite e ostacolò gli sforzi della comunità internazionale per conseguire la protezione dei civili in Darfur. Nello sforzo di conciliare le obiezioni di Khartoum, le Nazioni Unite, l’Unione Africana, l’Unione europea, la Lega araba, il governo del Sudan, e 13 Stati inclusi gli Stati Uniti che hanno aderito all’Accordo nel Novembre 2006 intorno ad una forza “ibrida” Nazioni Unite-Unione Africana sotto la quale le Nazioni Unite volevano consolidare e rinforzare l’operazione della missione di pace dell’Unione Africana nel Darfur. Il mese seguente, l’inviato speciale del governo statunitense in Sudan, Andrei Natsios, avvisò che Washington voleva attuare un indefinito “Piano B” a meno che il Sudan accettasse lo spiegamento della forza ibrida dall’1 Gennaio 2007.
I mesi passavano, tuttavia, e il “Piano B” di Washington non si materializzava malgrado continuasse l’opposizione alle forze di pace delle Nazioni Unite da parte del Governo del Sudan. In un discorso al museo del memoriale dell’Olocausto, il 18 Aprile 2007, il Presidente Bush minacciò sanzioni economiche se il Sudan non avesse aderito.
Nell’Aprile 2007, il Governo del Sudan aderì in teoria all’attuazione della “Fase II” dell’accordo sulla forza di pace di Unione Africana e Nazioni Unite. L’attuazione doveva implicare lo spiegamento di circa 3000 soldati aggiuntivi delle Nazioni Unite per sostenere l’Unione Africana nel Darfur. Nel giro di giorni, tuttavia, e non appena lanciati nuovi attacchi aerei sui villaggi nel Darfur, il Governo disse che a nessun reparto delle Nazioni Unite sarebbe stato permesso perlustrare in Darfur secondo la sua interpretazione della “Fase II”. Esso non ha fatto alcuna dichiarazione asserendo che accetterà la “Fase III” e il pieno dispiegamento di una forza ibrida di più di 10.000 soldati aggiuntivi.
Il 29 Maggio 2007, il Presidente Bush annunciava che aveva ordinato nuove sanzioni economiche degli Stati Uniti per fare pressione sul governo del Sudan, dovute al fallimento del disarmo delle milizie nell’anno a partire dalla firma dell’Accordo di pace e alla loro continuata opposizione al dispiegamento della forza di pace delle Nazioni Unite.

Amnesty International USA, International response, in www.eyesondarfur.com, trad. it. di Massimo Asero


Torna ai contenuti | Torna al menu