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Giovanni Falcone

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14 anni dopo…ricordo di Giovanni Falcone

23 maggio 1992, ore 17.58. Siamo in autostrada, l’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi va verso Palermo. Una tremenda esplosione. Muoiono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, i tre agenti di scorta Antonio Montanari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

La cronaca può essere trovata facilmente da chi vorrà, chi non la ricordi. Il ricordo invece può sbiadire col tempo o non esserci proprio, ad esempio per coloro che, giovani oggi, allora erano appena dei bambini.



Il ricordo che può avere ognuno di noi è un bel ricordo, quello di un siciliano che (come il suo amico Paolo Borsellino) non si è arreso a una Sicilia in mano alla mafia, ai poteri occulti.

Ma il ricordo più bello risiede nel cuore di quanti in lui abbiamo creduto, un ricordo che difficilmente possiamo esprimere a parole. È un misto di sensazioni che non si possono tradurre.

Sarebbe bello se il ricordo di Giovanni Falcone, oggi, potesse scriverlo lo stesso Giovanni Falcone. È un’utopia, ma è un’utopia… realizzabile.

Per attuarla riprendiamo un messaggio che risale al 1991 - l’anno precedente l’attentato dunque - una testimonianza che ci tramanda un metodo. E’ un messaggio che comprendeva bene anche Paolo Borsellino (ucciso solo 56 giorni dopo nella strage di via D’Amelio, e che ricorderemo con un altro intervento) e che saprebbe certo intendere chi ha ucciso Giovanni Falcone.

La testimonianza alla quale ci riferiamo si trova nel libro intervista di Giovanni Falcone scritto in collaborazione con Marcelle Padovani “Cose di Cosa Nostra”, edizioni Rizzoli RCS.

Le parole di Falcone sono macigni: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

Ecco, Giovanni Falcone è morto innanzitutto perché lo Stato non è riuscito a proteggerlo dai suoi nemici, da quella organizzazione che tanto danno fa allo Stato e contro la quale Falcone si è battuto, con incredibili capacità che hanno fatto del suo metodo di lotta il “metodo Falcone”, poi esportato addirittura negli USA.

Riportare qui il testo di questo libro, che vi assicuro è leggibilissimo, scorrevole e molto chiaro, appare addirittura poco opportuno. Però, fra le sue righe è indicato chiaramente il metodo da adottare, la mentalità mafiosa e la mafia (che sono ben diverse da quel che i film ci raccontano, e spesso sono ben diverse da quel che ci spiega l’informazione ufficiale).

E’ sufficiente proseguire la lettura per averne un saggio: “L’avere dimostrato la vulnerabilità della mafia costituisce una forza anche per gli investigatori nella misura in cui dà la consapevolezza che i mafiosi sono uomini come gli altri, e che possono essere combattuti con una efficace repressione.

I risultati si ottengono con un impegno duro, continuo, quotidiano. Senza bluff. Senza dilettantismi… … Giudico inammissibile per esempio che le forze dell’ordine non tengano un comportamento di assoluta correttezza nei confronti dei sospettati.”

Questo e tanto altro ci dice Giovanni Falcone, e così ci piace ricordarlo, col sorriso che vedete nella foto. Fiero del suo lavoro, realista oltre ogni umano limite, capace di sentirsi parte di una squadra - e non per questo di ritenerla la squadra migliore in assoluto.

Infine: la recente cattura di un superlatitante come Bernardo Provenzano è merito anche delle sue indagini, del suo metodo. Tanto ci sarebbe da dire su tale ultimo evento… ma questo vuole essere solo un bel ricordo di Giovanni Falcone e dei suoi sfortunati compagni delle 17.58 di quel maledetto 23 maggio 1992…

Luigi Asero


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